Sulle rive del Golfo dei Poeti è diventato grande. Nicola Mingazzini, 98 presenze e una rete con l’Aquila sul petto, ha vissuto con indosso la maglia bianca gli anni dei record di Mandorlini, tra 1999 e 2003, per poi emigrare in direzione Bergamo e Bologna, verso la Serie A.

Acspezianews.it ha avuto il piacere di intervistare, in esclusiva, l’ex giocatore Aquilotto per ripercorrere le tappe di una carriera arrivata a vantare 471 presenze da professionista, 78 delle quali nella massima serie del calcio italiano.

Partiamo dagli albori della carriera di Nicola Mingazzini. Dopo l’esordio in B con la maglia del Ravenna nella stagione 1998/99, l’annata successiva passi allo Spezia. Nel Golfo dei Poeti vivi quattro splendidi anni, giocando in una squadra in grado di frantumare ogni tipo di record passando dalla Serie C2 alla C1. Quali sono i tuoi ricordi di quelle stagioni in maglia bianca?

«Il primo anno è stato bellissimo, abbiamo vinto il campionato in maniera importante: anzi, non l’abbiamo solo vinto ma l’abbiamo stravinto, battendo tutti i record. Onestamente, non pensavo potessimo avere questo tipo di forza. Era il mio primo anno fuori casa ed è stato un concentrato di emozioni culminato con la vittoria del campionato: sono arrivato come seconda, terza scelta e poi mi sono ritrovato a giocare quasi sempre. Una grande novità per la mia carriera. All’inizio provavo un misto di tensione e nervosismo perché per me, come ho detto, era la prima esperienza da calciatore. Poi dopo, con il passare delle giornate, sono stato messo a mio agio dalla squadra e dall’allenatore ed è andato tutto per il meglio. Quel gruppo lo ricordo con piacere: un mix di giovani e vecchi che andava veramente d’accordo, tant’è che tutt’oggi mi sento con molti giocatori che fecero parte di quello spogliatoio».

L’allenatore di quella squadra era Andrea Mandorlini. È stato per te il più importante dell’intera carriera?

«Si, il più importante. Mi ha forgiato come calciatore e come persona. Quando a 18/19 anni incontri un individuo del suo spessore non puoi che formarti anche caratterialmente: mi ha fatto crescere, mi ha reso più uomo. Oltre ad avermi insegnato tantissimo dal punto di vista calcistico. Tra le altre cose, in quelle stagioni allo Spezia, sotto la sua egida, abbiamo giocato un calcio propositivo, per certi versi paragonabile a quello messo in mostra oggi da Italiano».

9 marzo 2003. Al minuto 78’ di Spezia – Prato arrivò anche la prima rete di Mingazzini tra i professionisti: un ricordo che ti legherà per sempre alla maglia bianca.

«Il mio unico gol con la maglia dello Spezia, certo che lo ricordo. C’era una scommessa con una giornalista spezzino, purtroppo mai mantenuta, che mi aveva promesso che allor quando fossi riuscito a metter a segno la mia prima rete in maglia bianca mi avrebbe regalato una bottiglia di ‘Magnum’: diciamo che è stato uno stimolo in più. A parte gli scherzi, la situazione si è creata da calcio d’angolo: una palla ribattuta che ho insaccato con un tiro da fuori area. Un’emozione incredibile. Lo cercavo da due/tre anni, ma non riuscivo, per demerito mio, a centrare la porta. Quella domenica ce la feci ed è stato molto bello, oserei dire liberatorio».

Chiudendo per un attimo l’album dei ricordi e tornando al presente: cosa ne pensi del calcio messo in mostra dallo Spezia di Vincenzo Italiano?

«Si possono solo farei i complimenti allo Spezia di Vincenzo Italiano. È una squadra che gioca un calcio propositivo, affrontando a viso aperto tutte le squadre. E, per una neo-promossa, con tanti giocatori e un allenatore alla prima esperienza in Serie A, non è affatto facile. È un gruppo, staff compreso, per il quale nutro grandissima stima e riconoscenza per quello che hanno fatto nella passata stagione. Quindi, non posso che essere contento di come le cose stiano andando anche quest’anno».

Anno che, per la prima volta nella storia, vede lo Spezia giocare in Serie A. Una categoria che ti ha visto protagonista con le maglie di Atalanta e Bologna.

«Sono state due esperienze diverse. A Bergamo la Serie A l’ho vissuta praticamente in seconda persona: ero più un comprimario che un titolare. Ho giocato tante partite, ma non sono mai stato vero e proprio protagonista in quella squadra. I cinque anni che ho fatto a Bologna, invece, li sento miei dal primo all’ultimo: ero un perno di quelle compagini, diverse partite ho indossato anche la fascia da capitano. È stata sicuramene l’esperienza più importante a livello di carriera».

A Bologna, tra l’altro, hai condiviso lo spogliatoio con Claudio Terzi, ora capitano dello Spezia. Che effetto fa vederlo alla guida delle Aquile in Serie A?

«Diverse volte con Claudio ci siamo trovati a parlare, anche l’anno scorso, degli anni a Bologna e degli ex compagni che abbiamo trovato o lasciato per strada. È un ragazzo d’oro, gli auguro di continuare a giocare ancora: il consiglio che gli ho dato è quello di andare avanti finché può».

Claudio Terzi che ieri sera ha capitanato lo Spezia nella sfida dell’Allianz Stadium contro la Juventus. La squadra contro la quale il 19 settembre del 2004 facesti l’esordio in Serie A. Che emozioni si provano a coronare il sogno di qualsivoglia bambino e metter per la prima volta piede in un campo della massima serie italiana?

«Era la Juventus di Capello, fuori portata direi, con giocatori straordinari in tutte le zone del campo e che faceva man bassa di punti in campionato. Sicuramente mi ricordo l’entusiasmo e la tensione di quel momento. Quando sono subentrato al mio compagno, le sensazioni erano sempre un misto tra la focalizzazione su quello che stava succedendo e la tensione del momento: sono tutte esperienze che ricordate ora fanno piacere, perché sono ricordi indelebili, ma che vissuti sul momento non riuscivi a goderti a pieno a causa della tensione».

Rimanendo in casa bianconera: Cristiano Ronaldo ha messo il sigillo anche sul match di ieri sera ed è considerato da tutti uno dei campioni più forti della storia. Se tu dovessi dire il giocatore più forte incontrato in carriera?

«Uno è ancora in attività, Zlatan Ibrahimovic. Quando l’ho incontrato io, poi, erano i tempi in cui vestiva le maglie di Juventus ed Inter: era fortissimo. Se devo dire un altro giocatore fenomenale, dico Kakà. Sono quei calciatori che non so se al giorno d’oggi possiamo ritrovare nel nostro campionato: tolto Ronaldo, ne vedo pochi. Ogni squadra, all’epoca, aveva fuoriclasse: si fa fatica a quantificare, a stabilire chi fosse il migliore. C’erano Totti, Del Piero, Cassano, Vieri, Adriano: erano tanti i top player che ti ritrovavi a fronteggiare ogni domenica. Nella Serie A d’oggi, forse, sono invece concentrati in 2/3 squadre».

Ora una curiosità. Nel calcio è difficilissimo paragonare annate ed ere calcistiche diverse, ma se Nicola Mingazzini si dovesse rivedere in un giocatore della rosa attuale dello Spezia, in chi si rivedrebbe?

«È difficile. Io ero un corridore, un giocatore più di quantità che di qualità. Ora la mediana dello Spezia è munita di doti tecniche importanti. Diciamo che per il ruolo in campo ti direi Matteo Ricci, anche se per caratteristiche no, siamo diversi: lui ha sicuramente più qualità e visione di gioco rispetto a me, che avevo, forse, più intensità e forza fisica».

Dulcis in fundo, il tuo nuovo ruolo dirigenziale. Com’è stare dietro una scrivania? Ti manca il prato verde?

«Ci si fa l’abitudine. Avevo maturato l’idea di smettere già un annetto prima. Fisicamente e mentalmente devi avere ancora voglia tutti i giorni di spingere al massimo ed il tuo fisico deve sottostare a questi ritmi. Ed il mio fisico era arrivato a fine corsa. Piano piano, successivamente, capisci cosa vuoi fare: io ho avuto la fortuna di iniziare questo percorso con Angelozzi e poi l’opportunità, quest’anno, di venire a Sassuolo. È una realtà importante, dove si lavora in maniera molto professionale: sono estremamente contento di quello che sto facendo. Certo, diciamo però che a lasciare il centro del campo non si fa l’abitudine: si avrebbe sempre voglia di vivere lo spogliatoio, di calcare l’erba; poi, però, uno cresce e capisce cosa vuole fare da grande».

Sezione: Esclusive / Data: Mer 03 marzo 2021 alle 18:00
Autore: Daniele Izzo
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